Una vita digitalizzata, in periodo di lockdown: quali le conseguenze, per i più giovani?
Internet regala la possibilità di mantenersi costantemente in contatto gli uni con gli altri, e ciò ha chiaramente i suoi vantaggi pratici, ma quando il bisogno di contatto diviene una necessità primaria con conseguente isolamento dalla realtà, come è avvenuto nei tempi di lockdown, l’uso assiduo del web non si limita solo alla voglia di dialogare, seppur virtualmente, con gli amici.
Con l’isolamento forzato causato dal coronavirus, il tempo passato dai ragazzi su internet è aumentato ed il suo utilizzo è variato, dunque: Il web è diventato non solo l’unico mezzo per “vedere” gli amici e parlare con loro, ma anche, e soprattutto, strumento di apprendimento e studio per la DAD (Didattica A Distanza), formula di insegnamento scattata per sopperire alla chiusura forzata della scuola.
I ragazzi e l’utilizzo di internet – come cambia la prospettiva a seconda delle circostanze
La scuola Don Carlo San Martino di Besana Brianza, insieme con il progetto Massere, ha voluto portare avanti uno studio già iniziato nei mesi precedenti con i ragazzi di seconda media inferiore: un questionario, somministrato in forma anonima ai ragazzi nel mese di febbraio, volto ad analizzare le abitudini di utilizzo degli strumenti digitali e del web da parte dei ragazzi, che è stato rivisitato in “chiave Covid” e inviato a tutti gli studenti di quinta e della scuola secondaria di primo grado.
L’obiettivo? Studiare come le modalità di utilizzo e gli strumenti impiegati siano variati in base al periodo, e, con riferimento al lockdown, analizzare l’approccio degli studenti nei confronti della DAD.
Di seguito riportiamo i risultati di alcune domande.
La differenza dei dati è lampante e balza subito all’occhio.
In un periodo normale, lo smartphone è il fedele compagno dei ragazzi; il Coronavirus, e la conseguente introduzione della DAD, hanno ribaltato le carte in tavola: il PC, fino a pochi mesi fa utilizzato saltuariamente, diventa ora il principale strumento per i ragazzi.
Smartphone fedele compagno, che poi sempre così fedele non è: sempre più spesso i ragazzi (e non solo) vanno a letto con il cellulare, rimanendo svegli per ore guardando al buio un dispositivo luminoso, con conseguenze importanti quali quantità/qualità del sonno e possibili problemi della vista. E questo accade con maggiore frequenza in tempo di Coronavirus, durante il quale la routine quotidiana e gli orari imposti iniziano a vacillare, come vediamo dal grafico qui sotto.
I Social variano in base alle mode del momento, si sa. WhatsApp rimane lo standard per rimanere in contatto con amici e famigliari, YouTube il più diffuso per guardare video, e poi c’è TikTok, una new entry nel mondo dei social media, in forte diffusione tra i più giovani da inizio anno. La logica utilizzata nella scelta dei social è sempre quella: i ragazzi scappano dove arrivano i genitori. È successo con il tanto caro Facebook due/tre anni fa e sta iniziando a succedere con Instagram. Anche in tempo di Coronavirus, Whatsapp rimane sul podio, ma al secondo posto, nettamente sorpassato da YouTube: utilizzato a fini ludici, ricreativi ma anche formativi, dato che molti docenti utilizzano il canale della scuola per caricare video lezioni da condividere con i ragazzi.
Ma una volta visto quali sono i social più utilizzati dai ragazzi, abbiamo voluto chiedere loro per cosa li usino maggiormente, in questo periodo di reclusione forzata. Ecco le loro risposte:
E poi, c’è la DAD (Didattica a Distanza)…un acronimo fino a poco fa sconosciuto ai più, oggi divenuto parte del vocabolario di ognuno di noi.
Com’è vista la DAD dai ragazzi? Abbiamo posto loro due domande specifiche:
La DAD – Didattica a Distanza: le domande dei nostri docenti
Sulla DAD si interrogano anche i docenti, alle prese con una modalità di insegnamento innovativa, che, come tutte le cose nuove, attira e un po’ spaventa. Una sfida dunque, per gli insegnanti ma anche per le famiglie, che si trovano spesso a fare i conti con problemi digitali (connessione instabile, un solo computer per famiglia) e che si trovano immersi in prima persona, all’improvviso, nella vita scolastica dei propri figli. Infatti, sebbene la DAD preveda attività che possono essere svolte in quasi totale autonomia da parte dei ragazzi, la presenza dei genitori è quasi sempre d’obbligo, specie per i più piccoli.
Nello specifico, il corpo docenti di Rigola ha espresso alcuni dubbi e stimolato la riflessione in merito a due tematiche importanti legate alla Didattica a Distanza, che sono state ampiamente sviscerate dalla Dott.ssa Stefania Sedini, la psicologa che, insieme con Andrea Massa e altri professionisti del settore, contribuisce quotidianamente al successo del progetto Massere.
Si può parlare ancora di una dimensione di classe? In che modo influisce sull’apprendimento il fatto che con la DAD ora la casa diventa l’unico ambiente fisico, educativo e didattico, diventa scuola?
Stefania ci propone il suo punto di vista, un punto di vista imparziale, logico e razionale ne suo essere astratto, che ci aiuta a riflettere.
Si può parlare ancora di una dimensione di classe?
Io penso di sì se si pensa alla dimensione classe non solo come qualcosa di oggettivo fatto da banchi, orari, strumenti e lavagne ma anche come all’immagine di classe simbolico-mentale che ognuno dall’alunno al docente ha dentro di sé. Nei percorsi che propongo per le classi prime elementari osservo proprio come alla consegna “disegna la tua classe”, a inizio anno nella mente dei bambini la classe è quella fisica, l’aula insomma se non addirittura la scuola vista dall’esterno;
a fine anno invece è molto più articolata, ci sono i loro compagni, le insegnanti, i colori, dei dettagli anche personali. Questo ci permette di ragionare su come la classe sia tanto oggettiva quanto soggettiva e proprio per questo può essere mantenuta viva anche nella DAD. Come? Penso che, come per la didattica, anche in questo caso vadano un po’ sovvertite le idee e le modalità classiche per nutrire la dimensione del gruppo classe.
Credo che un primo passo sia quello di chiedersi come docenti che cosa è il gruppo classe o la classe per voi, quali sono i vostri significati e quindi quale valore e senso date a questa dimensione. Questo permette poi di orientarvi sulle moltissime possibilità pratiche.
Altro aspetto, che se è possibile farlo potrebbe dare suggerimenti utili, è chiedere proprio ai ragazzi e ai bambini la questione senza dare per scontato che a loro manchi o non manchi, lo sentano o non lo sentano. Chi meglio di loro può darci il rimando dei loro vissuti?
Inoltre un altro aspetto che credo sia importante tenere presente è che ogni classe è un mondo a sé, ha i suoi alunni e le sue insegnanti, ha le sue risorse e le sue criticità, ha la sua storia insomma. Questo è importante da tener presente per individualizzare anche la classe virtuale e non cadere nella generalizzazione. A un livello pratico osservo che stanno funzionando ad esempio le letture con tutta la classe online oppure i momenti di “chiacchiera strutturata” in cui ad esempio si parla a catena raccontando qualcosa di sé, di bello o cosa si è fatto. Funzionano molto anche le merende online o momenti meno didattici e più relazionali anche brevi. Altre alternative sono delle strategie didattiche che permettono di attivare i singoli alunni verso la classe come dei giochi didattici che si possono fare in grande gruppo, preparare lezioni, preparare lavori da esporre o per i più grandi dei piccoli lavori di gruppo.
Al di là dei suggerimenti pratici credo che un presupposto fondamentale sia aver chiaro dentro di sé cosa sia la propria classe reale e simbolica da cui pian piano si delineerà anche la vostra idea di classe virtuale e solo con la vostra creatività sarà possibile darle vita.
In che modo influisce sull’apprendimento il fatto che con la DAD ora la casa diventa l’unico ambiente fisico, educativo e didattico, diventa scuola?
Sicuramente influisce ma credo sia ancora presto dire in che modo, con quali conseguenze a breve e lungo termine, con che incidenza. Stando ai fatti, a quanto si osserva e a quanto si racconta non c’è un unico modo in cui la DAD sta influendo sull’apprendimento né come la cosa venga vissuta e interiorizzata in questa situazione.
Ci sono però diversi elementi che sono in gioco e verso cui ci si sta confrontando in termini di cambiamento e adattamento.
Un primo elemento credo sia la fascia di età, la DAD in prima elementare è ben diversa da quella condotta in quinta o alle scuole secondarie. Cambiano le capacità degli alunni, cambia la loro autonomia e con questo l’impatto che sta avendo nelle case, cambia anche la forma mentis con cui la si approccia. L’apprendimento richiesto alle elementari è un tipo di apprendimento ben diverso da quello delle scuole secondarie, le modalità stesse di fare lezione sono profondamente differenti e calibrarle online non è semplice. L’età influisce anche sulla percezione e il vissuto della casa e dello stare in casa tra quelle mura con la proprio famiglia. Per i più piccoli la casa è luogo di protezione, viaggiano con la fantasia e i genitori sono ancora visti come fonte di calore e averli tutto il tempo per sé è qualcosa di nuovo. In adolescenza invece la casa ha anche altri significati, per alcuni adolescenti è una prigione, per altri è una tortura, per altri è noia, la propria privacy diventa difficile da mantenere, avere un genitore che ti controlla con la scuola è strano e non vedere il gruppo dei pari è per molti una privazione forte. Questo se si sta sui generis ovviamente perché in realtà ogni bambino, ogni ragazzo è una persona a sé stante che starà dando a questo periodo, alla DAD e alla casa un senso proprio e unico.
Un secondo elemento è il connubio luogo e tempo. Ogni scuola si è organizzata per come ha creduto e potuto rispetto alla proposta DAD e ogni famiglia ha risposto di conseguenza con la propria realtà, la propria disponibilità e questi due aspetti hanno influito sul messaggio che si è passato agli alunni. Alunni che di colpo si sono trovati con un tempo vuoto, loro abituati ad avere agende piene come quelle dei manager tra scuola, sport, terapie, attività extracurriculari, amici etc. hanno dovuto fare i conti con la noia, con il non fare, con il dover inventare in un tempo prolungato e in uno spazio ristretto nuove modalità di stare. Questo anche per la didattica, la propria scrivania o il proprio tavolo sono diventati il banco, lo schermo è diventato l’aula e quella maestra o quella prof che prima entrava mi guardava, si spostava, veniva chiamata fuori per questioni urgenti ora è lì, dietro allo schermo e di fianco non ci sono i compagni per scambiarsi un’occhiata o una battuta, si sta lì. Questo tempo e questo spazio modificato credo che, se colti, possano dare veramente tanto, possano essere spunto per approfondire, per entrare in relazione in modo diverso proprio grazie allo schermo.
Un terzo elemento è il legame tra emozioni- relazioni. Le emozioni e le relazioni come si sa influiscono sull’apprendimento e la scuola è teatro emotivo-relazionale per eccellenza con tutte le sfumature personali e sociali che intervengono e si creano. Il fatto che ora la scuola sia a casa non significa che questo bagaglio relazionale e vissuto emotivo non vi sia, anzi! Le emozioni in questo periodo sono più che mai attivate e complesse in ognuno di noi anche nei più piccoli. La paura e il timore per un’interrogazione, la vergogna dello schermo, la gioia di rivedere il viso di compagni e insegnanti, la noia di ascoltare, la fatica di stare seduti, il timore di quello che succede intorno, il fastidio che i genitori siano presenti all’interrogazione e molte altre. Le relazioni sicuramente son diverse, sono mediate dallo schermo ma non per forza questo deve portare a un distacco o ad un impoverimento, si può, lavorando insieme tener vivo il relazionale anche con lo schermo e anche a casa. Ricordiamoci sempre che gli alunni su questo ci possono aiutare, loro sono dei nativi digitali, con lo schermo ci sono nati e questa può essere un’occasione per unire le loro conoscenze alle nostre, per trovare un linguaggio comune e imparare insieme qualcosa di nuovo. Tener presente quindi che emozioni e relazioni ci sono anche nella DAD è un valore aggiunto sia in termini di apprendimento sia in termini relazionali e umani.
Non credo ci si possa sbilanciare ora sul dire in termini assolutistici come cambia l’apprendimento e non so neanche quanto senso abbia dato che la realtà scolastica italiana oggi rispetto agli apprendimenti è molto sfaccettata, si parla sempre più di didattica personalizzata e quindi mi chiedo se questa situazione non può essere veramente occasione di questa personalizzazione più che mai possibile. Lezioni in piccolo gruppo, lezioni singole, possibilità di tempi differenti e strumenti diversi. Certo è complesso e faticoso da parte di tutti, da parte delle insegnanti che stanno lavorando a volte il doppio, delle famiglie che si son ritrovate a entrare con mani e piedi nel mondo della scuola e degli alunni -loro nativi digitali- che seguono in modo più o meno critico quanto proposto.
Un’ultima riflessione in merito credo che sia utile farla, come semplice spunto provocatorio, chiedendosi in primis noi adulti cosa sia tutto questo. Cosa è la didattica e cosa è apprendimento? Cosa vuol dire insegnare dalla propria casa? Che senso ha per me lo schermo? Io penso che questo periodo storico e sociale, uscendo dall’idea classica di didattica, possa essere veramente occasione di apprendimento e di crescita qualitativa e non quantitativa per i nostri ragazzi e per noi.
Coronavirus, lockdown e distanziamento sociale: quale impatto sui più giovani?
Il corpo docenti si interroga sulla DAD, ma i dubbi, le perplessità e le paure non mancano per i genitori, preoccupati per l’impatto che il lockdown e il distanziamento sociale potranno avere sui bambini. In questo scenario così difficile non possono essere trascurate le emozioni, le sensazioni, i timori dei più piccoli e in particolare gli adulti devono essere in grado di comprendere l’impatto questa esperienza può avere su di essi sia nell’immediato che nel lungo termine, e agire di conseguenza.
Alcuni dei nostri genitori ci hanno rivolto le loro domande, alle quali, ancora una volta, la Dott.ssa Stefania Sedini ha fornito una preziosa risposta.
I bambini hanno capito bene di che cosa stiamo parlando e da che cosa stiamo cercando di difenderci. Anche perche’ purtroppo hanno visto fin troppe immagini al telegiornale, comprese quelle in cui i camion dell’esercito italiano uscivano dalla citta’ di Bergamo. Riusciranno a lasciarsi queste immagini e queste paure alle spalle o , come per noi adulti, resteranno sempre vive nella mente?
E’ una domanda molto importante e che in tanti ci stiamo ponendo, tuttavia non si può dire o prevedere con certezza come queste immagini e le emozioni provate stiano venendo elaborate dai bambini e come incideranno nella loro crescita futura. Questo perchè è una situazione nuova per tutti ma soprattutto perchè ogni bambino è diverso, ognuno ha una propria sensibilità, ha delle proprie risorse e delle proprie fatiche che non possono non essere tenute in considerazione. Ci sono tantissimi fattori soggettivi, familiari, biologici, relazionali, mentali che incidono su come ognuno di noi affronta una situazione e la rielabora. Questo vale sia per gli adulti sia per i più piccoli!
Il fatto che loro stiano vivendo questo periodo lascerà una traccia, è un pezzo della loro vita, della loro crescita. Spesso in queste situazioni si parla di trauma ma non per forza si deve dare a questa parola un connotazione negativa. Una situazione come questa può infatti attivare delle risorse e delle capacità che neanche si pensava di avere. Ci sono bambini che stanno soffrendo molto e in cui si stanno notando delle piccole regressioni probabilmente dovute alla fatica che stanno facendo e quindi, come soluzione, c’è un tentativo di “tornare ancora più piccoli” e sentire la protezione totale dei genitori. Ci sono bambini che invece sono riusciti a fare un passaggio di crescita inaspettato, bambini che hanno scoperto di avere delle risorse relazionali e emotive molto ricche. Quello che forse è “difficile” è il fatto che, in questo periodo, noi adulti ci ritroviamo più spesso del solito a sentire di non avere risposte, a dover dire “non lo so” e questo destabilizza noi e anche i bambini. Noi adulti, sia da genitori sia da insegnanti infatti ricopriamo nei bambini un punto di riferimento, noi siamo (o almeno vogliamo far vedere loro) di essere quelli sicuri, forti, che hanno risposte e soluzioni, che non cedono mai. Questo periodo però ha scombussolato un po’ le carte, quei camion li abbiamo visti anche noi, anche noi abbiamo avuto paura, anche noi abbiamo dovuto cambiare il nostro stile di vita con tutti i problemi che l’essere adulto e genitore comporta. Anche noi abbiamo perso qualcuno o qualcosa e questo, per quanto non ci piaccia, passa ai bambini. Però, c’è sempre un però, può essere un’occasione per educarli all’incertezza, per affrontare insieme il fatto che non sempre si hanno risposte, che le cose brutte nella vita accadono ma che si possono affrontare e che è normale avere paura o essere tristi, poter ridere anche se si è pianto poco prima e che mostrare le proprie emozioni è un qualcosa di prezioso, sia da bambini che da adulti.
Il fatto di essere rimasti cosi’ tanto tempo, e chissa’ per quanto ancora, in isolamento creera’ loro delle difficolta’ nel relazionarsi nuovamente in futuro con i propri amici/compagni?
Sicuramente qualcosa sta cambiando nel modo di percepire l’altro e lo stare con l’altro. In che modo è un po’ presto per dirlo, si possono fare supposizioni, ipotesi ma essendo ancora immersi in questa situazione sono teorie che andranno verificate. Credo però che al di là del come sia importante iniziare a cogliere che qualche cambiamento sì, ci sarà. Il fatto di avere la tecnologia come supporto ci ha permesso di rendere questo isolamento molto meno isolante per un certo verso. L’aver potuto proseguire la scuola, il poter vedere comunque i compagni e gli amici ma anche i parenti seppur attraverso lo schermo ha permesso ai bambini di non isolarsi del tutto ma, modificando le modalità, di nutrire comunque le relazioni e alcune dimensioni di vita che hanno. Come poi ognuno di loro abbia vissuto e elaborato questa modalità e questo distanziamento improvviso sarebbe da chiedere a loro. Osservandoli possiamo vedere bambini che ad esempio nelle prime videochiamate si sono emozionati tantissimo quasi da non riuscire a stare in quella chiamata, al tri che si vergognavano, altri che sembrava facessero videocall da quando sono nati, altri che erano felicissimi e altri più indifferenti. Ogni bambino per come è lui, per come viveva le relazioni e come stava con i suoi amici e compagni ha nel tempo fatta sua questa modalità. Lo stesso sarà alla ripresa, ci vorrà del tempo, entreranno in gioco molti fattori alcuni protettivi e altri meno, l’esito può dipendere sia dalla personalità del bambino, dal messaggio che si è veicolato in questi mesi e in quello che si veicolerà al momento, dipenderà da come il bambino viveva prima quella realtà e da come si è fatto toccare da questa. Ci saranno bambini che magari riusciranno a essere più espansivi e più vicini di prima perchè con lo schermo si è tolta la parte di distanza che c’era o viceversa potranno esserci bambini che avranno maggiori difficoltà ad avvicinarsi sia fisicamente che emotivamente all’altro per la paura di riperderlo o perchè non più abituati a stare con un pari. Altri magari non vedranno l’ora altri avranno più paura. Possono quindi aprirsi veramente molti scenari a cui però come adulti non dobbiamo sottrarci nè spingere troppo, occorre dare un po’ di tempo al bambino, essere al suo fianco senza sostituirsi a lui e aiutarlo a orientarsi in una realtà che sarà la stessa ma sarà anche totalmente nuova.
Cosa possono fare i genitori per aiutare i propri figli ad elaborare e affrontare il malessere che manifestano, spesso con capricci e pianti che prima non si verificavano?
Spesso ci sono momenti di sconforto che sfociano in reazioni nervose eccessive, più raramente in pianti; Noi cerchiamo di essere il meno duri possibile anche se a volte ci risulta quasi impossibile, la maggior parte delle volte partiamo in maniera dura e poi ci ammorbidiamo cercando di parlare e fargli capire che non è semplice per nessuno e che prima o poi ne usciremo. Qual è l’atteggiamento più corretto? Un vademecum ufficiale e efficace in generale non c’è. Ogni genitore è una persona con dei propri principi, con una propria sensibilità, con dei limiti e dei punti di forza e così lo sono i figli. Sicuramente alcuni piccoli accorgimenti come il mantenere una routine, limitare l’utilizzo di schermi specialmente ora che sono necessari per la scuola e il restare in relazione, mantenere un ritmo sonno veglia adeguato, farli muovere per quanto possibile, filtrare le notizie e le conversazioni in base all’età sono già delle piccole attenzioni che possono aiutare a tutelare. Tuttavia questa situazione si sta prolungando molto e sta esasperando degli snodi di crescita e dei vissuti emotivi già delicati di per sè. Tenendo sempre ben presente della singolarità della famiglia, della relazione e delle persone coinvolte si possono pensare a dei punti orientativi per far fronte alle reazioni emotive dei bambini.
Un primo consiglio è non farsi prendere dal panico. Sto sentendo genitori che sono molto spaventati da queste reazioni emotive e pensano che i figli stiano “dando di matto”, che siano malati o che abbiano qualcosa. Provate a chiedere a voi stessi: in questo periodo ho avuto dei momenti di forte emotività? Ho avuto paura? Mi sono arrabbiato senza reale motivo? Sono stato stanco o iperattivo senza reale causa? Ho litigato con qualcuno perché ne sentivo il bisogno? Credo che la maggior parte di noi abbia provato almeno uno di questi stati emotivi, perché non dovrebbero provarli anche i bambini? Ovviamente noi adulti generalmente abbiamo più strumenti sia emotivi che cognitvi per far fronte a questi vissuti più complessi di quelli dei bambini e abbiamo a volte degli “obblighi” che ci impongono di resistere. Rispetto alle reazioni all’uso, è da intendersi sia reazioni fisiche ( mancanza di sonno, apatia, dolore a collo, testa, schiena etc.) sia emotive (irritabilità, umore deflesso, rabbia, vergogna).
Non si può dare per scontato che video lezioni, compiti al pc, partita alla play, telefilm, chat dello smartphone e videochiamate in una stessa giornata abbiano su tutti gli stessi effetti. Le reazioni emotive quali pianti, crisi di rabbia, capricci sono dei modi che il bambino, anche in base all’età, trova per esprimere un malessere. Spesso noi non capiamo il perché o da cosa sia stato scatenato ed effettivamente magari nella concretezza del momento non c’è nulla ma può essere che sia un qualcosa che il bambino già stava provando oppure a volte aspetti per noi insignificanti sono invece quei trigger che permettono al bambino di esprimere il suo vissuto.
Un secondo consiglio è quello di prenderlo sul serio ma non dare per scontato di sapere cosa stia provando. Nell’educazione alle emozioni un errore che spesso noi adulti facciamo e di dire senza accorgesene al bambino quello che lui prova in quel momento perché è quello che noi proviamo o ipotizziamo che si provi. Non sempre è così e facendolo si toglie al bambino la possibilità di imparare e riconoscere l’emozione che sta provando, a capire come la vive e cosa può fare. La sfida è quella di accompagnarli in questo processo ad esempio chiedendoglielo “vedo che in questi giorni stai piangendo molto, come mai?”, dando delle alternative “sei triste o hai paura?”, provando a metterli in un gioco simbolico o in un disegno. Infine un altro punto importante credo sia quelli di rispondere alle loro domande e condividere anche le vostre emozioni, parlare di ciò che si prova, dare un nome o sentire di non riuscire proprio a descrivere cosa si sta sentendo, vergognarsi di provare alcune cose o averne paura sono vissuti che anche noi adulti abbiamo e, se ci permettiamo di farlo, possiamo condividerli con i nostri fig li dando loro uno spazio di ascolto empatico vero in cui non si sentono più soli ma accolti.
Come potremmo compensare la mancanza di socializzazione che i nostri figli hanno sempre vissuto dall’età di 6 mesi?
Come per i bambini più grandi questo cambiamento repentino e duraturo porterà con sè degli effetti a breve e medio che però credo sia prematuro dire con certezza ora. Si possono fare ipotesi e elaborare teorie ma credo che siano da prendere con cautela. Certamente la mancanza di stimoli sociali, essendo noi esseri relazionali, sta avendo delle ripercussioni tuttavia possono comunque esserci delle modalità per stimolare le competenze relazionali e emotive dei bambini anche dei più piccoli. Nel primo anno di vita ad esempio le stimolazioni e le novità per il bambino sono moltissime e l’aspetto relazionale è fondamentalmente dato dalla relazione con il genitore e su questa si può fare molto. La relazionalità e la socializzazione nei bambini così piccoli passano attraverso lo sguardo, la mimica facciale, l’alternarsi dei turni di interazione, il gioco, la coccola, la musica, i colori quindi usando creatività e fantasia per come si è e per come è vostro figlio possono essere veramente tanti gli spunti con cui rimodellare la relazione e portare avanti un lavoro di educazione alla socializzazione con i bambini.
Inoltre, adesso con l’avvio della Fase 2 e di un allentamento delle misure, si potrebbe pensare di incontrarsi con cugini o anche un amico/amica, con le dovute precauzioni, al fine di “riallenare” i bambini, soprattutto chi è figlio unico, all’interazione con i pari.
Come aiutare i ragazzi a sviluppare una cultura che eviti pregiudizi e discriminazioni nei confronti delle famiglie e dei ragazzi eventualmente colpiti da COVID19?
Non rendendolo un tabù. I pregiudizi e le discriminazioni poggiano su un “non sapere” rispetto al tema e su delle paure razionali e non delle persone che quindi hanno il bisogno di reificare e tenere a distanza l’oggetto del pregiudizio.
Il parlarne credo sia il primo passo da fare, parlarne in base all’età e alle curiosità dimostrate, parlarne anche tra voi genitori esprimendo le vostre paure e le vostre opinioni. I bambini ascoltano e si fanno delle idee, se ciò che ascoltano veicola dei messaggi di non giudizio ma di comprensione e empatia già si stanno dando delle chiavi di lettura lontane dai pregiudizi. Un parlarne sia informativo sia emotivo, che possa quindi far capire e rispondere alle loro domande sia far sentire e dare spazio alle emozioni che smuove. Infine potrebbe anche essere utile aiutarli a “mettersi nei panni di” con esempi concreti (Se tu fossi malato, vorrebbe dire che hai una colpa? Tu come ti sentiresti se venissi insultato per questo? E’ giusto essere esclusi per un qualcosa che non dipende dalla tua volontà?
È giusto concedere più tempo (non tanto in più) con supporti che permettono il contatto con i coetanei (Messenger e Skype)?
Direi di sì ma consapevolmente. Mi spiego meglio. Oggi più che mai lo schermo con tutte le sue app e strumenti ci sta veramente permettendo di mantenere attivi dei lati importanti della nostra vita come il lavoro, la scuola ma soprattutto le relazioni. Sicuramente “non è la stessa cosa” ma è pur sempre un modo per stare in relazione, un modo che i ragazzi di oggi conoscono bene e che già prima di tutto questo utilizzavano senza però, salvo alcune situazioni, darne una centralità così importante.
Io credo che tenendo conto dell’età dei propri figli, delle reazioni che loro hanno all’utilizzo massiccio dei device e allo stile di vita che avevano prima, possa essere una soluzione positiva il permettere di interfacciarsi con qualcuno che non siamo noi adulti.
Quando dico età, intendo che ogni età ha un approccio proprio al web ma soprattutto dà un senso diverso all’importanza degli amici e dei pari. Per un bambino di prima elementare i compagni sono importanti ma non è loro abitudine uscire al pomeriggio o alla sera come in adolescenza. Qui entra in gioco lo stile di vita; un bambino abituato a non frequentare molto i coetanei starà vivendo in modo diverso questa situazione rispetto a chi era il “re della festa”. Rispetto a questo un occhio di riguardo da parte del genitori va posto sulla richiesta o meno di fare queste videochiamate. Non bisogna dare per scontato che al ragazzo o al bambino manchino gli amici, per alcuni questo isolamento è un qualcosa di protettivo specialmente se vittime di prese in giro o se persone molto introverse. Bisogna sempre calarsi nella situazione e parlarne con loro per cogliere e capire da adulti cosa si può fare.
Rispetto alle reazioni all’uso, è da intendersi sia reazioni fisiche (mancanza di sonno, apatia, dolore a collo, testa, schiena etc.) sia emotive (irritabilità, umore deflesso, rabbia, vergogna). Non si può dare per scontato che video lezioni, compiti al pc, partita alla play, telefilm, chat dello smartphone e videochiamate in una stessa giornata abbiano su tutti gli stessi effetti.
Quello che credo che sia importante infine è la sorveglianza dell’adulto, per i più piccoli la presenza dell’adulto durante la videochat credo che sia necessaria, per i più grandi dove la famosa “privacy” adolescenziale entra in gioco occorre calibrare e trovare accordi. Un primo step potrebbe essere condividere delle regole, una specie di patto di co-responsabilità al fine di veicolare al ragazzo il senso della videochiamata, i rischi e le risorse che questo uso dello schermo porta con sè.
Stefania parla di “sorveglianza dell’adulto” nell’utilizzo degli strumenti digitali da parte di bambini e ragazzi, tema molto delicato e caro, alla scuola e a Progetto Massere: è proprio per sensibilizzare studenti e famiglie ad un utilizzo consapevole di Internet, informare dei pericoli della rete sia da un punto di vista pratico che psicologico e creare un dialogo ed un confronto su tematiche relative all’uso di Internet e dei Social che la scuola Don Carlo San Martino ha sposato il progetto fondato da Andrea Massa nel 2010.
Per rispondere a domande, dubbi, perplessità legate all’utilizzo del web da parte dei più giovani, ma anche per aiutare i genitori a prevenire alcuni comportamenti o situazioni potenzialmente pericolose, il Progetto Massere terrà, nel mese di settembre, una serata rivolta ai genitori degli alunni iscritti alla scuola Don Carlo San Martino e ai genitori del territorio, in cui verranno affrontate le principali tematiche e difficoltà legate alla rete e all’utilizzo del web e dei social network da parte dei più giovani.