MI SPECCHIO NEI TUOI OCCHI
Un incontro per genitori, insegnanti, educatori, il prossimo 24 gennaio. Il tema: conoscere i nostri figli, per aiutarli a conoscersi e a orientarsi.
Un incontro per genitori, insegnanti, educatori, il prossimo 24 gennaio. Il tema: conoscere i nostri figli, per aiutarli a conoscersi e a orientarsi.
“Mi specchio nei tuoi occhi” è il bel titolo scelto dal professor Attilio Bergamini, psicologo e dirigente scolastico, per un incontro rivolto ai genitori e agli educatori (24 gennaio, ore 20. 45, Sala Teatro, Istituto “Don Carlo San Martino”, Rigola di Villa Raverio). Una occasione per ritagliarsi del tempo e riflettere sul modo in cui noi adulti stiamo accompagnando i nostri figli e i nostri alunni nel loro percorso di crescita, in un momento in cui il dibattito intorno ai fondamenti dell’educazione dei giovani è molto animato.
“Mi specchio nei tuoi occhi” è un richiamo alla potenza dello sguardo dell’altro come orientamento e norma per il proprio agire, come conferma dell’identità personale, come certezza di una cura attenta e sorvegliante. L’immagine dello specchio è a doppio senso: i bambini e i ragazzi costruiscono sé stessi attraverso i continui rimandi di riconoscimento, approvazione o disapprovazione che raccolgono dagli adulti, ma anche i genitori e gli insegnanti si specchiano nello sguardo dei più giovani, cercandovi la conferma dell’efficacia e dell’opportunità delle loro azioni educative.
“Orientamento” sarà una delle parole chiave dell’intervento del professor Bergamini: il compito adulto di “orientare” i giovani non è mai episodico, né circoscritto alle urgenze delle prime scelte di natura sociale (come quella della scuola superiore, per esempio). Piuttosto, si sviluppa e si complica fin dal primo affacciarsi dei nostri figli alla vita e a tutte le infinite ipotesi che lo stare al mondo squaderna a ogni essere umano. Se un bambino piccolissimo è totalmente dipendente dai suoi genitori, la sua necessità di autonomia emerge molto presto e da subito interpella la nostra capacità di essere figure “orientanti”, ovvero in grado di dare garanzie di legittimità, coerenza, lealtà, fedeltà: un bambino che cresce ci chiede di essere orientato-educato a diventare una persona perbene, ovvero una persona che sa rispettare sé stesso e gli altri.
Matteo Lancini, presidente della Fondazione milanese Minotauro, sul “Corriere della Sera” del 19 gennaio (nell’articolo di Paolo Di Stefano, “La morale, una bella cosa. Condividerla è possibile”) propone un’analisi delle smagliature che oggi sembrano indebolire il rapporto genitori-figli: “Siamo passati da una famiglia normativa a una famiglia affettiva, per cui il bambino è diventato un soggetto prezioso, un protagonista la cui pubertà mentale viene anticipata: non più un soggetto da civilizzare o da punire ma da comprendere. La vicinanza è l’elemento costitutivo della famiglia odierna, ma è una vicinanza virtuale non fisica per le madri, mentre il padre, più debole, è molto più affettivo e ‘marsupiale’, non genera più sofferenze e distanze. Il bambino è al centro della scena, è un piccolo re cui tutto viene concesso e non genera grandi attese: deve socializzare, esprimere liberamente i propri talenti, impone i suoi amici, al punto che i genitori frequentano i genitori dei suoi compagni, eccetera. Quando poi diventa adolescente, gli si dice: ‘adesso basta, è stato uno scherzo’ e arrivano i no, i divieti, i limiti. Troppo tardi… A quel punto il richiamo alle regole viene percepito come una ferita narcisistica da cui a volte nascono reazioni contro di sé o contro gli altri… È come se le aspettative ideali proprie o maturate in famiglia crollassero di colpo, e di fronte a questa nuova situazione di blocco l’adolescente talvolta prova a rimuovere l’ostacolo in modo violento, per rimettersi in linea con le sue attese ideali: il fatto è che in adolescenza devi fare i conti con quel che sei davvero, e qui nasce il dolore mentale e la frustrazione a cui non sei abituato.”
Educare è un “piacere complicato, che richiede delle spiegazioni morali”, osserva la psicoterapeuta Marina Valcarenghi, sulla stessa pagina del “Corriere”. Va da sé che oggi la relazione familiare, pur essendo importante, non è più esclusiva e i genitori hanno dei concorrenti formidabili: il mondo esterno e i coetanei, attraverso le nuove forme di comunicazione, hanno un potere orientativo molto forte sui nostri ragazzi. Con Bergamini rifletteremo dunque sull’idea che valorizzare una “buona dipendenza” dei giovani da adulti responsabili e affidabili potrebbe essere un modo per ridare contenuto allo stesso concetto di autonomia e libertà individuale. Del resto, senza legami e senza limiti, di che razza di libertà potremmo parlare?
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