“Un monastero nel cuore della Siria”: mostra itinerante a Rigola
Un fiore sgargiante svetta su un cumulo di macerie. Mani operose costruiscono amore. Sguardi di donne e uomini stretti in un abbraccio che chiede, con voce gentile: “Pace”. Sono solo alcune delle (intense) immagini protagoniste di “Azer, l’impronta di Dio.
“Un monastero nel cuore della Siria”, la mostra itinerante realizzata dal Meeting per l’amicizia tra i popoli e in programma presso l’Istituto Don Carlo San Martino dal 9 al 16 marzo (tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19; inaugurazione il 9 marzo alle 15.30). Video, interviste, fotografie esposte all’evento, organizzato dal Pio Istituto pei Figli della Provvidenza, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e la Comunità Pastorale di Santa Caterina di Besana, patrocinato dal Comune di Besana in Brianza, raccontano la vita straordinaria di alcune monache trappiste del monastero di Azer, in Siria, al confine con il Libano del Nord. Una vita, la loro, segnata dal coraggio di testimoniare amore e accoglienza.
Un impegno che diffonde speranza dal 14 marzo 2005, giorno in cui Marta, Marita, Mariangela e Adriana giungono ad Aleppo da Valserena (Pisa) rispondendo a un appello: l’Abate generale chiede di raccogliere l’eredità dei sette monaci trappisti dopo i fatti accaduti a Tibhirne, in Algeria. Le quattro paladine partono senza indugio mettendosi al servizio di un grande disegno. Così, tre anni più tardi, si compie il primo miracolo: il 26 marzo 2008, la croce di Fondazione del monastero Beata Maria Fons Pacis è collocata ad Azer, nella provincia di Homs. Una zona rurale, con una popolazione a larga maggioranza musulmana. Due i villaggi cristiani, che contano poco meno di cinquecento anime.
Giorno dopo giorno, le instancabili religiose costruiscono una realtà fatta di pace e fratellanza con la popolazione locale, che ormai considera il monastero un punto di riferimento nella quotidianità. Niente le ferma. Non soffoca il loro coraggio la guerra, scoppiata nel 2011 e aggravata da tensioni geopolitiche di cui non si comprenderà mai il significato. L’epidemia di colera, del settembre 2022. E il sisma del febbraio 2023. Un terribile evento naturale che ha provocato oltre 8000 vittime, sferzando una regione già allo stremo delle forze.
Giorno dopo giorno Marta, Marita, Mariangela e Adriana compiono una scelta: fortificare la vocazione al servizio del prossimo. Ecco perché, anche quando la guerra urlava odio, a quanti le invitavano a cercare un luogo sicuro rispondevano di appartenere alla Siria. Di essere parte di una storia, di un destino forse incomprensibile agli occhi dell’uomo, ma teso a un significato Altro e decifrabile solo con gli occhi della carità. Una pietra alla volta, le religiose hanno costruito un luogo di Pace, sempre pronto ad accogliere e aperto a condividere con il prossimo, a qualunque Fede appartenga. Nella preghiera e nel lavoro, non manca mai il sostegno alla comunità locale. Sembra quasi di conoscerlo, il panettiere musulmano che porta al monastero un po’ di pane. O le mamme sciite, che chiedono timidamente una benedizione per i loro bambini. O, ancora, il militare, intento a rovistare tra le tasche di una divisa sgualcita e impolverata per offrire una caramella o una nocciolina alle suore. Sembra quasi di sentirlo, il giovane soldato. Scoraggiato, mani abbandonate lungo i fianchi, dopo aver ammirato le rose che crescono nel giardino del monastero domanda: “Perché piantate fiori in mezzo alla guerra?”. In lontananza, un colpo di mortaio.
Poi, silenzio. “Cristo non ci ha mai promesso di risolvere i nostri problemi, né di annullare la povertà e la malattia, ma ci ha detto che è possibile passare attraverso tutto questo come Lui ha fatto”, le parole di suor Marta. “Anche noi possiamo farlo, oggi, in un momento storico – non solo per la Siria – in cui appare evidente la lotta tra il Bene e il Male, credendo che lo Spirito Santo lavora, è presente e ci fa sperimentare che non c’è mai solo il buio. Piantare, costruire, avere cura della vita, dare ragione del presente e del futuro, ha senso anche e soprattutto in tempo di guerra”.
Lo sguardo si perde su nuvole giallo-viola. L’aurora dalle dita di rosa tinge il cielo di speranza.