Incontro con Venanzio Gibillini
Gli alunni della nostra scuola secondaria, gli insegnanti e alcuni genitori hanno incontrato Venanzio Gibillini, novantenne
milanese, sopravvissuto ai campi di concentramento di Flossenbürg e Köttern.
Gli alunni della nostra scuola secondaria, gli insegnanti e alcuni genitori hanno incontrato Venanzio Gibillini, novantenne milanese, sopravvissuto ai campi di concentramento di Flossenbürg e Köttern.
Nella Sala del Teatro affollata di ragazzi, il 17 febbraio, la testimonianza del <<Giba>>, come è affettuosamente conosciuto il signor Venanzio, ha proposto una pagina tragica di Storia con la voce e lo sguardo di un uomo che ha sperimentato su di sé il Male assoluto, e ne è uscito vivo. Una lezione-conversazione di grande intensità e umanità, che si inserisce nel progetto pluridisciplinare sulla legalità e i diritti umani Speak truth to power. Coraggio senza confini. Il progetto coinvolge in particolare le classi II A e III A ed è coordinato dalle insegnanti di Lettere, Grazia Motta e Jolanda Caprioli, in collaborazione con l’ Associazione <<Senza Confini>> di Seveso: essa opera nelle scuole per l’approfondimento e lo studio dei genocidi che hanno insanguinato il Novecento, e la valorizzazione degli uomini e delle donne che hanno combattuto o combattono nel mondo, per la libertà, la giustizia, la pace. L’incontro con Venanzio Gibillini è stato possibile grazie al coordinamento di Giuseppe – Puccy Paleari, ricercatore e documentarista, che ha contribuito a un progetto sulla Grande Guerra con gli studenti di terza, nella prima parte dell’anno scolastico.
Nell’intervista pubblica con Puccy, <<il Giba>> ha raccontato la sua storia con estrema lucidità e ricchezza di particolari. Paleari, da parte sua, si è rivolto ai ragazzi sollecitandone l’ascolto attivo e fornendo loro tutte le informazioni storico-cronologiche necessarie a inquadrare l’esperienza personale dell’intervistato nella tragica vicenda dell’istituzione dei lager in Europa e della successiva <<soluzione finale>>.
Venanzio Gibillini viene arrestato a Milano dai fascisti il 4 luglio 1944, all’età di 19 anni, con l’accusa di sabotaggio. Egli, residente in città con la famiglia, lavorava infatti al deposito locomotive di Milano-Greco. Dopo una breve detenzione nel carcere di San Vittore, viene trasferito in pullman nel lager di Bolzano e da qui parte per Flossenbürg con altri cinquecento prigionieri, stipati negli infernali carri bestiame. Il lager tedesco era stato costruito nel 1938, sulla strada tra Norimberga e Praga, sotto la direzione di Himmler, per volontà diretta di Hitler. Un <<campo di lavoro>> dove ben presto, a partire dal 1940 – ‘41, incominciò lo sterminio dei prigionieri, attuato attraverso il lavoro stesso, cioè sottoalimentando i lavoratori, in modo che, sottoposti a fatiche massacranti, non potessero resistere più di due o tre mesi dall’arrivo. A Flossenbürg non mancarono atti di incredibile sadismo e ferocia, ed esecuzioni di massa mirate, in particolare nei confronti dei prigionieri slavi. Qui persero la vita più di tremila italiani, tra soldati fatti prigionieri dopo il ’43 e deportati per motivi politici.
Il racconto del<<Giba>> nel suo procedere si fa sempre più drammatico: penosa l’umiliazione di un viaggio che da subito infligge ai deportati la violazione del pudore, tremenda la paura per non sapere che cosa aspettarsi, incomprensibile l’indifferenza che si attraversa, feroce il processo di spersonalizzazione, che trasforma le persone in numeri marchiati sulla pelle e urlati come ordini e minacce.
Abbiamo letto infinite volte Primo Levi, e la sua donna <<senza capelli e senza nome>>, anche i più giovani tra noi sanno che cosa avvenne, ma è impossibile non provare di nuovo un brivido di orrore quando il nostro ospite descrive le procedure di ingresso al campo e poi la vita quotidiana nel lager: qui i prigionieri capiscono immediatamente che sarà impossibile sopravvivere a lungo. Provvidenziale, tuttavia, per evitare di trascorrere l’inverno a Flossenbürg, arriva per <<il Giba>> la sbrigativa selezione organizzata dalle SS per reperire meccanici. Ritenuto idoneo, finisce nel campo di Köttern (un sottocampo del lager di Dachau), dal quale esce quotidianamente per andare a lavorare in una fabbrica di aeroplani, che sarà poi bombardata e resa inagibile.
La mattina del 25 aprile 1945, dopo l’appello generale, i prigionieri rimasti nel lager vengono incolonnati e, sotto una pioggia battente inizia la marcia: una delle varie <<marce della morte>>, organizzate dai nazisti sul finire della guerra, per trasferire gli internati dai campi ormai minacciati dai sovietici e dagli angloamericani, e distruggere così le prove delle atrocità commesse. Il viaggio che partì da Köttern durò due giorni e due notti, perché le SS che sorvegliavano i prigionieri, giunti a Pfronten, fuggirono, abbandonandoli. Incominciava il ritorno a casa.
Entrando nella Sala, Venanzio ha appuntato al bordo del tavolo un fazzoletto di stoffa a righe bianche e azzurre e un triangolo rosso con l’abbreviazione <<It>> (<<italiano>>), una traccia materiale della sua detenzione, che si porta dietro da un incontro all’altro, insieme al cucchiaio di alluminio con l’incisione della parola <<mamma>>. Era poco più grande dei nostri alunni, quando gli tolsero tutto, ma non l’anima, il coraggio, e la memoria che gli impone di donarsi con altissima dignità a noi e ai più giovani tra noi, perché continuiamo a ricordare, a riconoscere il Male dovunque si affacci, e a combatterlo: opponendoci strenuamente all’indifferenza, che del Male è la più temibile complice.